SESSUALITA: NECROFILIA E VAMPIRISMO
Necrofilia e Vampirismo
Il fascino del sangue, del vampiro che succhia il sangue fino allo svenimento, è il fascino
del vampirismo torbido, fascinoso ed erotico.
E’ nella poesia che la trasgressione vampirica esplode allorché Ricciotto Canuto azzardò un
paragone audace nei “Sonetti fallici all’Androgine”(1906-1907), associando l’immagine del
sesso femminile alla “bocca senza voce” che divora e “beve in un liquido fuoco/(…) tra sospiri
di morte/urli di vita!”; ne “Il veleno”(1912), Giuseppe Vannicola esaltava la sessualità
incestuosa e interpretava l’enigma della vita richiamandosi al “triste vampiro” della Verità.
Un caso a parte nel panorama è rappresentato dal vampiro Dada di Julius Evola: qui la donna
è costretta a sacrificare il proprio corpo affinché l’uomo, trasformatosi in un vampiro sessuale,
in un ultimo indegno respiro possa assaggiare il sapore della vita sino a diventare immortale.
La crudeltà sadica del vampiro assassino emerge nelle storie esasperate e atroci dei racconti
pulb di Alda Teodorani (1955).
Eroine sexy assetate di sangue e di sesso, decise, spesso crudeli, sempre inquiete e inquietanti.
La Contessa Rossa
La sanguinaria contessa ungherese Elisabetta Bàthory, considerata ai suoi tempi una vera e propria
vampira per la sete di sangue che la indusse ad assassinare più di seicento fanciulle.
Nata nel 1560 nel castello di Csejthe, già a quattordici anni diede alla luce un figlio illegittimo
e a sedici, poco dopo il matrimonio impostole dalla famiglia con il conte Ferencz Nadasdy, intrecciò
una relazione lesbica con la zia materna Karla Bathory.
Insieme alla passione per le orge tra donne, Elisabetta cominciò a coltivare anche quella per la magia
nera, scoprendo nel contempo la propria irrefrenabile inclinazione per il sadismo, che sfogava su
servette e contadine.
La relazione adulterina con uno straniero dalle vesti nere, l’incarnato pallido e le grandi occhiaie,
diffuse nella popolazione la convinzione che si fosse legata ad un vampiro.
Circondatasi di una vera e propria corte dei miracoli, che includeva tre streghe conclamate, un
maggiordomo nano, la sua ex nutrice e un servitore sadico (Thorko, lo stesso che l’aveva iniziata alla
magia nera), cominciò a fare sistematicamente rapire fanciulle nei dintorni per torturarle atrocemente
e poi ucciderle.
Secondo la leggenda, Elisabetta Bàthory era addirittura solita mordere ferocemente le proprie vittime,
strappando loro veri e propri brandelli di carne, il ché rafforzò a posteriori la convinzione che fosse
in realtà una vampira.
Con il trascorrere degli anni, davanti all’appassire della sua grande bellezza, fu ossessionata dalla
convinzione di poter arrestare il declino fisico facendo il bagno nel sangue di giovani vergini.
Per più di dieci anni perseguì con maniacale tenacia questa sua crudele follia, facendo torturare e
assassinare almeno 621 ragazze, anche di sangue nobile.
Il pastore luterano del villaggio di Csejthe, padre Andrai Berthoni, fu il primo a mettere per iscritto,
poco priima di morire, ciò che ormai tutta la gente diceva e cioè che la contessa era una vampira
sanguinaria, responsabile di innumerevoli assassinii.
Il suo successore, reverendo Janos Ponikenusz, trovò la nota e ne informò il cugino di Elisabetta,
il conte Thurzo.
La notte dell’ultimo dell’anno 1610 il nobile e il sacerdote penetrarono nel castello e sorpresero
Elisabetta in una stanza delle torture del castello, coperta di sangue e circondata da corpi mutilati.
Il processo che seguì portò alla decapitazione di quasi tutti i suoi complici (le streghe furono arse
vive).
Elisabetta venne murata in una stanza del castello e ricevette il cibo attraverso una fessura per i
successivi quattro anni fino a quando morì il 14 Agosto 1614.
I documenti relativi al suo processo, nascosti dal conte Thurzo nel proprio castello rimasero ignoti
per oltre un secolo, ma dopo il loro ritrovamento la contessa “vampira” ha ispirato…parecchio!
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